Lo stereotipo nasce in ambito tipografico dall’inventiva di Firmin Didot, un famoso incisore francese che utilizzò questo termine per indicare un metodo di duplicazione delle composizioni tipografiche e dei cliché.

Matteo Rampin, noto consulente personale di manager e imprenditori di livello internazionale, ci regala una moderna e più chiara definizione:

Persuasivi sono gli stereotipi, parole che contengono molte connotazioni culturali, psicologiche, emotive: tutte semplificazioni, ma tutte scolpite molto bene nell’immaginario collettivo. Una volta appioppate, queste parole appiccicose veicolano qualsiasi altro giudizio all’interno della cornice che creano.

Sono tecniche abitualmente usate nei mass media, nella comunicazione, nell’advertising e nel digital marketing dove si trasformano in elementi ripetitivi di luoghi comuni. Per loro natura, vengono individuati nelle pubblicità, nelle sit-com, nelle serie, nei meme, in tutte quelle immagini standardizzate che raffigurano persone, idee, eventi, storie e temi.

Il più classico dei meme che descrive lo stereotipo riguardo il modo di gesticolare degli italiani durante una conversazione.

Per buona pace degli addetti ai lavori, gli stereotipi cambiano ed evolvono nel tempo: oggi potrebbe risultare difficile riconoscere alcuni elementi di qualche decennio fa ed è per questo che sono da evitare, se si vuole realizzare qualcosa di estremamente creativo e innovativo.

Nel 2021 è corretto analizzare i consumatori di un dato brand come gruppi impersonali basati su categorie?
La risposta è NO.

Dare per scontato che tutti i pensionati siano interessati al giardinaggio o a seguire i nipoti, che tutte le donne siano interessate all’acquisto di scarpe o che tutti gli uomini siano appassionati di sport è un grave errore di progettazione strategica. Questi gruppi di persone stereotipate possono portare a risultati disastrosi durante una campagna marketing.

Campagna Pandora Natale 2017.

Da diversi anni ormai è appurato che l’uso di categorie stereotipate non aiutano nello sviluppo di nuove idee imprenditoriali e non sono efficaci per creare una brand personality. Questa linea di pensiero non funziona più nel business: il segreto è conoscere i clienti il più intimamente possibile.

Se raggruppare gli individui in nicchie di marketing funzionasse, perché le grandi società continuerebbero a investire così tanto nello studio delle abitudini, dei comportamenti, dei bisogni e delle emozioni dei consumatori?

Il marketing stereotipato potrebbe concentrarsi troppo su un gruppo e ignorarne un altro più importante. Ad esempio, alcune ricerche sostengono che non è più opportuno parlare della distinzione categorica tra uomo e donna, in quanto non rappresenterebbe più una convenzione credibile. WomanCertified, l’organizzazione statunitense per la tutela dei consumatori e la formazione al dettaglio delle donne, stima una spesa di 4 miliardi di dollari in auto costose e articoli sportivi, fino a poco tempo fa classici stereotipi maschili.

Riguardo lo sport Adidas ha lanciato la campagna S/S2020 pronta a distruggere gli stereotipi sul corpo femminile, progettando una gamma di prodotti streetwear adatte a tutte le taglie e le fisicità.

Reimagine Sports, campagna Adidas S/S2020.

Il marketing stereotipato nasce da un’imprenditoria stereotipata, soprattutto se le stesse aziende li vivono al loro interno. Il lavoro del creativo è dunque quello di realizzare progetti di successo che permettono di scardinare questa mentalità.
Ecco alcune delle domande che possono aiutare a conoscere meglio i clienti e a quale customer experience dovrebbero vivere con il brand di riferimento:

  • Chi sono le persone che non possono resistere al tuo prodotto, hanno un debole e possono ritenersi dipendenti?
  • Chi sono gli individui che si ricaricano emotivamente grazie al tuo brand?
  • Chi acquista il tuo prodotto per un approvazione sociale?
  • Quali sono i consumatori che non trovano beneficio nei tuoi prodotti?

Rispondendo a questi interrogativi, potrete sicuramente riflettere sull’identità del vostro brand e porre delle basi per progettare un futuro più adatto ai consumatori, e meno agli stereotipi.

Fonte: Mariano Dotto, Neurobranding – Il neuromarketing nell’advertising e nelle strategie di brand per marketer, Hoepli, 2020