Il diffondersi della pandemia ha scatenato negli italiani un profondo cambiamento delle abitudini, delle relazioni e del rapporto con la comunicazione. Fino a pochi mesi fa, un piccolo imprenditore su tre dichiarava di non essere interessato al digitale e di star bene così, con il proprio orticello di clienti affezionati.

Con l’arrivo del 2020 e in seguito al noto salto di specie abbiamo assistito ad un nuovo “salto”, stavolta culturale: a maggio un piccolo imprenditore su tre dichiara di essere in ansia per non aver attivato il trentesimo servizio di comunicazione che – non si sa mai – potrebbe servire a smuovere la propria azienda da questa scomoda situazione di stallo.

Ironia a parte, lo stato di emergenza e di crisi a cui tutti noi siamo stati sottoposti ha portato l’imprenditoria italiana a conoscere nuove terminologie, nuovi servizi e soprattutto modalità alternative di vendita. Parole come menù digitale, delivery, e-grocery, m-commerce hanno riempito le bacheche degli utenti, le prime pagine delle testate giornalistiche e i webinar di decine di agenzie di comunicazione.

L’importanza di aver maturato una nuova consapevolezza riguardo le potenzialità del digitale per le imprese, deve però lasciare subito spazio a nuove riflessioni che riguardano gli investimenti in tal senso. C’è bisogno infatti di conoscenza e non solo di consapevolezza: saper scegliere quali servizi digitali possano realmente giovare ai fatturati di un’attività risulta di vitale importanza, in un momento storico nel quale il 75% delle Pmi ha subito gravi perdite economiche.

Tra i settori più colpiti c’è sicuramente quello della ristorazione che dopo il periodo di lockdown ha subito numerosi cambiamenti anche strutturali. I titolari delle attività hanno adeguato i locali distanziando i tavoli diminuendo in modo rilevante il numero dei coperti, del personale e dei contatti con la clientela e ricavando pochissimi profitti dall’insuccesso dell’asporto lanciato all’inizio della Fase 2.

La soluzione è stata quella di affidarsi al food delivery tramite i servizi più gettonati come Just Eat, Glovo, Deliveroo, Uber Eats. Minimo investimento iniziale per cercare di arginare le perdite. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: aver ceduto loro il 30% degli incassi affidando le consegne a dei riders inquadrati dal punto di vista della sicurezza stradale e sanitaria in maniera poco chiara.

Domingo Iudice, co-fondatore di Pescaria ha dichiarato che nel fatturato aziendale 2018 il delivery ha avuto un’incidenza di circa il 10% (700 mila euro) con punte del 15-18% a Milano. Immaginate ora di dover decurtare dal fatturato circa 210 mila euro di costi servizio: quanto costerebbe un’app tutta vostra?

Conoscere dunque le potenzialità dei servizi digitali permette sicuramente di scommettere su un maggiore ritorno in termini di audience e pubblico, ma consente soprattutto di investire in maniera mirata il proprio budget, evitando di cadere nel tranello della quantità a discapito della qualità.

La palla è nelle mani dell’imprenditore a cui consigliamo di innovare seguendo il futuro e andando oltre le consuetudini del mercato digitale.